Pubblicato: 15-10-2011

Steven Wilson: 'Il mio nuovo album? Finalmente ho fatto un disco prog'


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La domanda sorge spontanea: di quante ore si compone la giornata lavorativa tipo di Steven Wilson? Messi temporaneamente in stand-by i Porcupine Tree, il quarantatreenne musicista inglese ha trovato il tempo di dedicarsi più o meno contemporaneamente a un nuovo album del suo progetto ambient Bass Communion, al disco solista del cantante e chitarrista degli Opeth Mikael Akerfeldt e a un nuovo doppio album a suo nome, "Grace for drowning", che arriva nei negozi il 26 di questo mese (intanto, a marzo, era uscito "Welcome to my Dna" dei Blackfield, la band che lo vede collaborare con l'israeliano Aviv Geffen). Come fa, viene da chiedersi? Siamo di fronte a uno sgobbone indefesso, un workaholic allo stadio terminale? Rigorosamente in nero, acciambellato sulla poltrona della hall dell'albergo in cui lo incontriamo, Steven rifiuta cortesemente la definizione ("Per me la musica non è un lavoro") e si presta a parlare appassionatamente della sua nuova opera, molto diversa dal precedente "Insurgentes" in virtù della presenza massiccia di cori e partiture orchestrali, di pianoforti, di lirici assoli di chitarra e di brani di lunga durata (ricco anche il parterre degli ospiti, con nomi illustri come Steve Hackett e Tony Levin). "Il cuore musicale di 'Insurgentes' ", spiega Steven, "aveva a che fare con la mia musica preferita degli anni Ottanta: il post punk, i Joy Division, gli A Certain Ratio. Stavolta l'impulso è arrivato da certo rock vecchia scuola anni Settanta. Mi interessava esplorare soprattutto quel genere al confine tra jazz e prog che si manifestò quasi esclusivamente tra il 1969 e il 1975. Il progressive che si è sviluppato in seguito, e il prog metal in particolare, è un tipo di musica più tecnico, più 'clinico'. Se ascolti i King Crimson o gli Yes dei primi dischi, invece, ti rendi conto di quanta importanza abbia avuto il jazz nella creazione di quello che oggi chiamiamo progressive. Bill Bruford, Michael Giles e Ian McDonald erano musicisti jazz prestati al rock. A mia volta, per questo disco, sono andato alla ricerca di musicisti jazz: il batterista, Nic France, è un jazzista molto noto nel giro dei session men inglesi, e così il flautista e sassofonista Theo Travis. Ho voluto rendere omaggio a quell'era musicale senza per questo suonare rétro. Sono sempre stato associato al movimento progressive, eppure non credo di averne mai fatto parte: in un certo senso questo è il primo, vero disco prog della mia carriera. In passato ho spesso fatto uso di elettronica e di chitarre metal, stavolta invece ho preferito utilizzare il mellotron e le chitarre acustiche, ance, flauti e sassofoni, coro e orchestra. Ho attinto consapevolmente ai suoni, ai timbri e alle tonalità di una musica antica con l'intento di creare qualcosa di nuovo". C'entra qualcosa l'incarico di "remixer ufficiale" di dischi prog epocali che Wilson ha assunto da qualche tempo a questa parte, inziando con i King Crimson (a ottobre escono le ristampe di "Discipline" e "Starless and the bible black"), per proseguire con Caravan ("In the land of grey and pink") e Jethro Tull ("Aqualung", anch'esso atteso nei negozi ad ottobre)? "C'entra eccome. Anzi, la scintilla è scaturita da lì" annuisce Steven, che cita proprio i Crimson di Robert Fripp tra le tre band fondamentali della sua formazione musicale ("gli altri sono i Pink Floyd e i Tangerine Dream"). "Nel '69", ricorda, "i King Crimson pubblicarono il primo disco progressive della storia, oggi continuano a innovare e a fare tendenza. Il lavoro che sono stato chiamato a fare sui loro vecchi dischi ha riacceso il mio entusiasmo per quella musica. E' come se mi fossi catapultato in studio con loro, a stretto contatto col processo creativo. E' stata una preziosa educazione musicale: ho cominciato a comprendere meglio il loro metodo di lavoro e i motivi per cui quei dischi mi appassionarono così tanto quando li ascoltai per la prima volta. Non è solo questione di musica. Mi affascina lo spirito, la voglia di sperimentare, la capacità di utilizzzare una tavolozza ampia di suoni. E il modo in cui quei dischi venivano realizzati, spesso molto velocemente: si tornava di notte da un concerto, si predisponevano le apparecchiature in studio, si registrava un pezzo e si riportavano gli strumenti nel van prima di ripartire verso un'altra destinazione. Un approccio molto diverso da quello dei musicisti di oggi, capaci di passare mesi interi alla ricerca della giusta intonazione vocale o a programmare un pad di charleston. Volevo distanziarmi da questo approccio. Cercavo qualcosa di più organico, di più spontaneo e spirituale". Ne sono scaturiti due cd, raccolti in un'unica confezione ma differenziati anche nei titoli. Come mai? "I due dischi hanno una personalità in qualche modo diversa. Il secondo è un po' più dark, un po' più sperimentale ed espanso. Avevo anche pensato di pubblicarli separatamente, a sei mesi di distanza uno dall'altro, ma poi mi sono reso conto che stavano bene in coppia. Perché ho suddiviso le canzoni in due volumi? E' un modo per scoraggiare l'ascoltatore ad ascoltarseli tutti d'un fiato, questi 85 minuti intensi in cui succedono un sacco di cose. Consiglio anzi di sentirseli in giorni diversi. Sono convinto che quaranta minuti siano la durata perfetta di un disco. Non è una coincidenza che gli album che hanno fatto epoca arrivino quasi tutti dall'era del vinile, quando i limiti tecnici del supporto impedivano di allungare la durata oltre certi limiti. E poi c'è il fatto che oggi la soglia di attenzione si è abbassata, invece di allungarsi. Anche quando incido un disco con i Porcupine Tree suddivido sempre idealmente le canzoni nelle facciate di un Lp, cicli musicali della durata di venti minuti l'uno". A dispetto della sua ben nota antipatia per l'iPod ("Sono stato frainteso: non ce l'ho con la tecnologia, ma con chi privilegia la comodità alla qualità"), Wilson è entusiasta delle nuove frontiere audio/video, tanto che "Grace for drowning" esce anche in formato Blu-ray. "Ci abbiamo messo dentro tutti i brani in stereo ad alta definizione e i mix in surround 5.1, i work in progress e i demo di alcune canzoni più i filmati creati da Lasse Hoile, il mio collaboratore abituale. Il bello del Blu-ray è che ti permette di accedere ad altri contenuti mentre ascolti: provini, foto, testi manoscritti e così via. L'esperienza di ascolto diventa molto più interattiva". La "musica per immagini" è un'altra predilezione di Wilson, e anche stavolta nelle canzoni non mancano i riferimenti cinematografici. Ad esempio in "Belle de jour"... "Appena l'ho scritta", sorride Steven, "ho pensato a una colonna sonora all'italiana. Ennio Morricone, Nino Rota o i Goblin. Avevo appena comprato la versione in Blu-ray del film di Buñuel, che ho sempre adorato. Mi piaceva il titolo, l'ho scelto per quello. Sembra una ninnananna, ma ha un sottofondo lievemente sinistro: una qualità che ho sempre associato alle colonne sonore italiane. La mia musica nasce sempre associata ad immagini, e appena ho pronto un pezzo nuovo lo faccio ascoltare a Lasse parlandogli delle suggestioni visive che mi passano per la testa. E' per questo motivo, credo, che ci capiamo così bene. Con l'eccezione di 'Remainder the black dog', un pezzo monocromatico che ha a che fare con la depressione, la musica di questo album è ricca di colore. Ma nella scelta delle immagini abbiamo privilegiato toni seppia dal sapore antico. La foto di copertina è stata ripresa al tramonto nei dintorni di casa mia, su un piccolo ponte al di sopra di un canale, usando pellicola Polaroid e uno stenoscopio del tipo di quelli che erano in voga nel primo Novecento; mi sembra che rifletta bene il senso di dislocamento temporale che caratterizza il disco, con tutti quei riferimenti al passato proiettati nel presente". Un mix sonoro che non ricorda solo gli anni Settanta ma - a tratti - anche Peter Gabriel o i Massive Attack. "Mi piace la fusione tra suoni orchestrali e musica elettronica. La senti in pezzi come 'No part of me' o 'Index', che sovrappone ritmi percussivi industrial piuttosto monotoni ad archi romantici e molto ariosi. Il bello di fare dischi solisti è che non devi tenerti dentro niente, sei libero di far fluire liberamente tutto quanto sgorga dal processo creativo. Con 'Grace for drowning' credo di avere realizzato il disco più ambizioso della mia carriera. Ci ho messo tempo e impegno, ho cominciato a lavorarci nel marzo dell'anno scorso... Presentarlo dal vivo sarà altrettanto impegnativo. Allestiremo un vero e proprio show corredato da film e multimedia, Travis sarà con me sul palco assieme ad altri quattro fantastici musicisti. Faremo esclusivamente pezzi tratti dai miei dischi solisti e ci sarà molto spazio per l'improvvisazione". L'obiettivo è chiaro: "Non voglio che la gente lo consideri un progetto collaterale, secondario rispetto ai Porcupine Tree. Per me è il disco migliore che abbia mai fai fatto, quello a cui in qualche modo mi sentivo predestinato. Ed è il più personale di tutti: qui dentro c'è qualcosa che mi riporta direttamente al momento in cui per la prima volta, da ragazzino, mi sono reso conto della magia della musica".


(Articolo tratto da: http://www.rockol.it del 16 set 2011)







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