Pubblicato: 05-11-2011

“I Wilco sono come un’orchestra”: l'intervista di Rockol


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Un’orchestra: Nels Cline definisce così i Wilco. E’ una bella definizione, la sa, perfetta per una band che ha il suo marchio di fabbrica non solo nelle grandi canzoni, ma nella cura degli arrangiamenti e nelle soluzioni sonore sorprendenti. “The whole love”, disco uscito poco meno di un mese fa ne è l’ennesima dimostrazione. Nels Cline è il chitarrista della band. Rockol lo ha raggiunto al telefono mentre il gruppo è in tour in Europa (in Italia arriveranno il prossimo marzo, l’8 a Milano, il 9 a Bologna: i biglietti sono già in vendita). Abbiamo fatto due chiacchiere con lui - Jeff Tweedy, mente del gruppo, è notoriamente refrattario alle interviste. Ed è tutt’altro che un ripiego: il suo arrivo nel 2004 ha reso, se possibile, ancora migliore il suono di una delle band simbolo del rock di questo decennio.  Cline è un chitarrista che arriva dall’avanguardia, ma nei Wilco il suo apporto è stato meno sperimentale che nelle prove soliste o con i Nels Cline Singers, vicine al jazz e all’improvvisazione. Ma non per questo meno importante: suo è il più bell’assolo rock degli ultimi anni, quello di “Impossibile Germany”, da “Sky blue sky” (2005), il primo disco che ha inciso con la band. “Quando sono arrivato nella band mi sentivo come un membro di un’orchestra, e mi sento ancora tale”. La definizione arriva dal metodo di lavoro del gruppo: “Ci sediamo in circolo, suoniamo, e proviamo ogni idea che ci viene in mente. La principale idea che abbiamo avuto su ‘The whole love’ è di non darci limiti nel numero di tracce da inserire su un brano. Ogni idea che ci veniva in mente è stata provata, e poi abbiamo deciso quale suona meglio”, spiega. La genesi del disco è stata lunga anche se non faticosa, racconta Cline: “Abbiamo iniziato l’anno scorso lavorando ad alcune idee di Jeff; alcune erano già definite, altre erano solo frasi, riff, melodie. Ogni canzone ha una sua storia… Alcune delle canzoni in realtà sono i demo che abbiamo inciso all’inizio, che erano un po’ più grezzi, ma ci piacevano di più, e che abbiamo completato con piccoli ritocchi. Nel disco si sentono spesso le prime esecuzioni del brano. Ad un certo punto pensavamo addirittura di fare due dischi: avevamo queste canzoni più tranquille ed intimiste, e canzoni più rock ‘n’ roll. E poi c’è “Art of almost”, che è una storia a parte”. L’inizio del disco, in effetti, è stato uno shock per chi non conosceva (o non si ricordava) il lato più sperimentale del gruppo: una lunga canzone tra chitarre elettronica e ritmi sincopati, con una lunga coda che ricorda i Radiohead. “Era una canzone molto diversa, nel demo. Poi Jeff ha sentito un giro di batteria, è scattato qualcosa nella sua immaginazione e l’ha reso la base della canzone, che è stata reimmaginata. Lo studio è diventato uno strumento di improvvisazione”. Non avete mai pensato di fare un disco tutto così? “Noi registriamo una canzone alla volta, facendole suonare come meglio sembra alle nostre orecchie, una per una. E poi è Jeff che si chiede ‘Qual è l’album?’.  E’ lui che trova il filo rosso che unisce tutto”. Nonostante questa canzone, i media americani hanno usato spesso negli ultimi tempi una definizione non troppo lusinghiera, nei confronti della band. “Dad rock”, un peggiorativo di “Adult rock”, come per dire la musica fatta da gente matura, anche troppo.  “Oh my god…”, dice quando gliela si ricorda. “Credo che arrivi da Pitchfork, forse perché “Sky Blue Sky” iniziava con una canzone soft, e Jeff dice che ogni disco finisce per essere identificato con la prima canzone. ‘Either way’ è una delle mie canzoni preferite, ma è probabilmente è nato da lì. Ogni band ha delle canzoni soft, e avere dei figli non è un peccato. E’ solo un’etichetta". Sempre a proposito di quel disco, Cline racconta a Rockol la storia di “Impossibile Germany”: “Stavamo lavorando in maniera molto collaborativa, un po’ come all’ultimo album: seduti in circolo a suonare, facendoci venire idee. Quella era una canzone che Jeff aveva in forma di demo da un po’, ma che non riusciva finire. Una volta, ascoltandola in macchina, mi è venuto un’idea di arrangiamento, ispirata a “The dreams’ dream” dei Television, che ha una melodia molto rilassata alla fine, fatta di chitarre che si fondono, che però creano un’atmosfera drammatica. Ho mostrato queste idee a Jeff, le abbiamo incise. E alla fine ci siamo ritrovati io, Jeff e Pat Sansone, con loro due che le hanno elaborate. Alla fine Jeff mi ha chiesto di ritornare al mio assolo iniziale, alla mia idea melodica, che adesso è l’apertura della canzone, su cui ogni sera improvviso qualcosa di diverso”. Tornando al presente, Nels ci spiega qual è il suo apporto alla band: “Tutti portano delle idee. Solitamente il mio primo impulso è di suonare qualcosa di classico, familiare.  Poi cambio strada.  Con i Wilco evito l’improvvisazione, come faccio nei miei progetti solisti. Ma Jeff accoglie molto bene l’assenza di riverenza nelle idee che portiamo nel gruppo. Quando sono arrivato pensavo di essere un membro dell’orchestra, e continuo a pensarlo. Ma ogni tanto aggiungo qualcosa di mio anche alle mie canzoni storiche del gruppo. Ho avuto molta libertà, poche volte mi hanno chiesto di riprodurre le canzoni com’erano state incise, ma praticamente mai nota per nota. Penso che il risultato della combinazione con la mia presenza sia che i Wilco siano più potenti, ma anche un po’ più precisi”. L’ultima considerazione è ancora sul presente della band, recentemente diventata indipendente: “Dal mio punto di vista, la percezione è ottima, ma ad essere onesto non mi occupo delle questioni di business. Siamo felici, vedo che negli uffici dei Wilco si lavora molto di più, abbiamo dovuto assumere un paio di persone in più, ma controlliamo meglio i dettagli. Il disco ha venduto bene, e la distribuzione e la comunicazione ha funzionato altrettanto bene, anche grazie all’accordo con la Anti”. (gs)


(Articolo tratto dal sito: rockol.it del 24 ott 2011)







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