Pubblicato: 10-02-2012

Black Keys, il successo di 'El camino' e il ritorno live: la nostra intervista


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Alla fine, forse, "E' tutta una questione di fortuna". Almeno questo è il modo in cui Patrick Carney, il batterista dei Black Keys, cerca di spiegare il successo della sua band. Noi sinceramente non siamo d'accordo con lui. Insieme a Dan Auerbach Patrick infatti ha costruito una delle (purtroppo rare) favole rock degli ultimi anni. Due musicisti nati e cresciuti a Akron, Ohio, nella profonda provincia americana e arrivati piano piano ai Grammys e alla testa delle classifiche internazionali senza mai snaturare il proprio percorso artistico. E di divismo neanche a parlarne. Nemmeno di fronte alla stampa italiana, che li ha incontrati prima del loro concerto di stasera (30 gennaio) all'Alcatraz di Milano. Uno show sold out da settimane, per la cronaca. "Tutto questo successo è surreale, eccitante e bizzarro. Non avremmo mai pensato di trovarci in una situazione del genere", confessa Patrick, "Dieci anni fa, quando è uscito il nostro primo disco, eravamo con una piccola etichetta che non aveva soldi per il marketing o cose simili. Per questo salivamo sul nostro furgoncino e andavamo in tour per fare promozione. Ogni anno e mezzo registravamo un altro album, sempre in pochi giorni. Piano piano poi il pubblico ha iniziato a crescere. La prima volta che siamo stati a Denver c'erano 40 persone, l'ultima volta ce n'erano 4.000".

Merito anche di "El Camino", l'ultimo album del gruppo che ha esordito al secondo posto della classifiche americane. "Le registrazioni di 'El camino' sono state super democratiche, conosciamo Danger Mouse da anni e lavorare con lui è sempre una cosa naturale. Stavolta, oltre a fare da produttore, ci ha aiutato anche nella scrittura, una cosa che non avremmo permesso a nessun altro. Così abbiamo deciso tutto insieme, dal suono del basso al missaggio delle voci. E' stata più lunga del solito, ma anche più soddisfacente", risponde il batterista.
Rispetto all'ultima volta che sono venuti in Italia, nel 2008, stasera sul palco i Black Keys saranno in quattro invece che in due. Al loro fianco infatti da un paio d'anni ci sono i turnisti Gus Seyffert e John Wood, rispettivamente al basso e alla tastiera. "Nella primavera del 2007 abbiamo iniziato a scrivere 'Attack & release' e abbiamo deciso di usare altri strumenti oltre a chitarra e batteria. Poi siamo andati in tour solo io e Dan, ma mancava qualcosa. Quando abbiamo fatto 'Brothers' nel 2010 ci siamo resi conto che era impossibile suonarlo in due. Per questo abbiamo arruolato Gus e John". I Black Keys, come detto, non hanno la classica aria da rockstar. Le copertine dei dischi, ma soprattutto nei videoclip, restituiscono sempre un'immagine ironica, quasi comica. "Per i video assumiamo solo dei registi che ci piacciono. Amiamo i clip buffi e ridicoli, come i video dei Sonic Youth e dei Pavement che passavano di notte su MTV quando eravamo ragazzini. Prendiamo la musica molto seriamente, ma quando si tratta di tutto il resto siamo più ironici. Non facciamo finta di essere 'cool' e cose del genere", risponde l'artista, "E' solo questione di fortuna in fondo. Ho amici che hanno delle band fantastiche ma non sono  mai riusciti a fare successo, magari solo perché non hanno fatto delle scelte giuste al momento giusto". Rockol lo scorso dicembre ha incontrato l'altra metà dei Black Keys, Dan Auerbach, proprio pochi giorni prima dell'uscita di "El camino". Ecco cosa ci ha raccontato.


Rockol - Dan Auerbach presenta "El camino" il nuovo disco dei Black Keys on MUZU.TV


  Ma quali sono le influenze dei Black Keys? Molti li considerano quasi un moderno duo blues. "A me piace più il rock classico o l'indie. Dan è quello che ascolta di più il blues, i nostri gusti sono un po' diversi", risponde Patrick. E, poco dopo aver promesso un ritorno della band nel Vecchio Continente il prossimo agosto, confessa che in passato l'Europa non gli ha portato molta fortuna. "Nel 2004 il tour da queste parti è stato il peggiore della nostra vita. Eravamo in un piccolo camioncino, in viaggio con una coppia di sposi che si occupava del merchandising, ma che ha litigato tutto il tempo. E poi abbiamo perso i nostri soldi. L'ultima volta che abbiamo suonato a Milano nel 2008 mi hanno anche rubato il computer. Perlomeno posso dire di aver comprato il mio pc nel vostro paese", confessa Carney.
E per chiudere, con una battuta che suona tutt'altro che ruffiana, commenta così il definitivo passaggio dei Black Keys da idoli del pubblico alternativo a band "mainstream": "Gli hipster per me sono persone a cui per principio non piacciono le cose popolari. Prima probabilmente per gli hipster noi eravamo un sogno erotico, adesso siamo il nemico. Ma non siamo cambiati per niente in realtà. Per cui per me possono andarsene a fanculo", conclude.


(Articolo tratto dal sito: rockol.it del 30 gen 2012)







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