Pubblicato: 03-10-2013

Placebo: ' 'Loud like love' è il nostro disco più vulnerabile e colorato'


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A volte i dischi nascono per parto spontaneo, quasi senza intenzione. Senza bisogno di aiuto. Qualcosa del genere è capitato ai Placebo con "Loud like love", settimo album del gruppo inglese uscito nei negozi "fisici" e digitali il 16 settembre scorso per Universal Music e che la band si prepara a proporre dal vivo nei prossimi diciotto mesi (unico appuntamento italiano il 23 novembre alla Unipol Arena di Bologna). "Avevamo portato in tour per due anni 'Battle for the sun' prima di prenderci una pausa e pubblicare un EP, 'B3', nel 2012. Ed è in quel momento che ci siamo resi conto che, senza averlo preventivato, stavamo già scrivendo un nuovo album" spiega Stefan Olsdal, il polistrumentista svedese che nel trio londinese suona basso, chitarre e tastiere. "Davanti a noi avevamo ancora impegni dal vivo, ma ci siamo accorti che era passato abbastanza tempo dall'album precedente: a quel punto abbiamo deciso di far uscire qualcosa di nuovo per far contenti i fan ma anche per avere qualcosa di diverso da suonare sul palco. Ci interessava, stavolta, fare un disco che risultasse più vulnerabile ed emotivamente aperto del solito. In un certo senso ci sembrava di scrivere in maniera meno consapevole; l'obiettivo non era fare un disco ma comporre canzoni che fossero oneste e sincere. Rispetto agli album precedenti, mi sembra che 'Loud like love' contenga più alti e bassi emotivi. E in un certo senso è stato più facile da realizzare, perché stavolta all'interno della band si respirava un'atmosfera diversa. "Ai tempi di 'Battle for the sun' ", ricorda Olsdal, "c'erano stati parecchi cambiamenti all'interno del gruppo e, tutti insieme, stavamo uscendo da un momento piuttosto buio. Era cambiata la formazione ed eravamo arrivati al termine di un contratto discografico. Avevamo deciso di andare a registrare al di fuori del Regno Unito e stavamo attraversando un periodo turbolento. Con 'Loud like love', invece, abbiamo capito in studio di lavorare con un scopo condiviso; i rapporti all'interno del gruppo e con l'esterno erano più rilassati e credo che ascoltando il disco questo si percepisca. Con 'Battle for the sun' cercavamo di esprimere il desiderio di essere positivi e di uscire da un brutto periodo, con il disco nuovo sentiamo di esserci finalmente riusciti. E' un album più colorato, la copertina sintetizza bene questo stato d'animo. Ci sentiamo più fragili, forse, ma anche più in pace con noi stessi".

Un ruolo non indifferente lo ha giocato il nuovo produttore, Adam Noble, già al fianco di Guillemots e dEUS ma anche collaboratore in passato di U2 e Paul McCartney. "Per me il ruolo di un produttore consiste nel capire l'artista e il suo modo di lavorare ma anche nel convincerlo con delicatezza a fare cose diverse, spingendolo a tirar fuori il meglio da sé e a guardare le cose da una prospettiva leggermente differente", dice Olsdal. "Adam ha estratto da noi un'energia che prima forse non avevamo mai avuto, forse perché lo abbiamo lasciato avvicinare molto al cuore delle canzoni. Ci ha permesso di continuare a essere i Placebo, ma anche di tornare a capire i motivi per cui avevamo deciso di metterci insieme a far musica".

Brian Molko, il frontman del gruppo, ha definito il nuovo disco una raccolta di racconti brevi; una collezione di canzoni d'amore sondato anche nei suoi aspetti meno idilliaci e più distruttivi. "Non è un album concept: ogni pezzo è stato scritto in modo da avere vita autonoma", precisa Stefan. "Ma in ognuno di essi c'è abbastanza spazio, credo, perché ogni ascoltatore si costruisca la propria storia. Penso che una canzone sia più interessante quando non offre nessuna risposta in particolare, nessun messaggio o istruzione sul come ascoltarla. Quando dà a chiunque la possibilità di interpretarla a suo modo". Anche se nel disco nuovo ci sono brani come "Too many friends", il singolo proposto domenica in tv a "Quelli che il calcio", che affrontano temi espliciti e inequivocabili: nel caso specifico le false e pericolose relazioni sociali che germogliano su Internet. "Il tema della canzone è la tecnologia che ci circonda. E' un concetto molto interessante, in questo momento, perché la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo procede a una tale velocità che diventa difficile tenerne il passo e anche valutare gli effetti che potrà produrre sulla società. Il pezzo parla delle modalità di interazione tra gli esseri umani, oggi che la comunicazione faccia a faccia, persona a persona, si realizza virtualmente stando dietro a uno smartphone o a un computer. Il paradosso è che si finisce per autoisolarsi proprio quando si pensa di avere un maggior numero di amici e una rete sociale più ampia che mai. C'è un pericolo latente, quando la tecnologia e l'umanità non si evolvono alla stessa velocità. Nessun essere umano è in grado di avere più di un centinaio di amici. Avere più di 500 contatti su Internet è un'altra cosa, non si tratta di rapporti gestibili come vere amicizie. Il personaggio della canzone si sente isolato e alienato, più solo di prima". A proposito di tecnologia: i Placebo e Molko in particolare non sono stati teneri nei confronti del modo in cui Spotify tratta gli artisti. Eppure il nuovo disco è disponibile in tutti i maggiori servizi di streaming. "E' l'argomento del giorno, una patata bollente", ammette Olsdel. "Discutiamo costantemente di queste cose. Ed è vero, agli inizi eravamo decisamente contrari e non volevamo pubblicare i nostri dischi sulle piattaforme di streaming. Ma in fin dei conti non posso evitare di pensare che questo è il futuro, il modo in cui sempre di più la gente consuma e consumerà musica. A volte, oggi, conta più lo strumento con cui ascolti la musica del contenuto, c'è chi non desidera altro che mostrare in giro il suo nuovo modello di smartphone piuttosto che la sua collezione di musica e di questo bisogna tenerne conto. Per noi lo streaming al momento è uno strumento tutt'altro che perfetto, stiamo discutendo animatamente con gli interlocutori discografici sul come spartirsi i guadagni. Ma se non ti trova sui servizi di streaming il pubblico ti cerca altrove, possibilmente gratis: così in un certo senso lo streaming serve a cannibalizzare la pirateria, la rende poco attraente perché le piattaforme mettono a disposizione un prodotto molto meglio organizzato. E poi stanno uscendo nuovi servizi come Me & You che, realizzati in collaborazione con tutte le etichette discografiche, promettono agli artisti l'80-85 % dei guadagni. Al di là di questo, la cosa buona è che con lo streaming e la musica digitale la gente può continuare a comunicare e condividere quel che le piace. Mi risulta che il nostro singolo sia attualmente uno dei più condivisi in rete: stiamo raggiungendo un maggior numero di persone perché questo è il modo in cui la maggior parte dei ragazzi si avvicina oggi alla musica e scopre le novità che riguardano il suo gruppo preferito. Non puoi irrigidirti e mandare a farsi fottere chi ascolta in questo modo, devi cercare di fare il possibile per conviverci e avvantaggiartene".

Al successo del singolo ha certamente contribuito un suggestivo video promozionale che si avvale di un cameo importante: la voce narrante appartiene infatti a Bret Easton Ellis, l'autore di "Meno di zero" e di "American psycho". "E' stata un'idea di Saman Kesh, il regista del clip e un artista che ammiriamo per la sua capacità di leggere le cose in una chiave piuttosto dark e contorta", svela Olsdel. "Uno dei nostri primi video, '36 degrees', venne diretto da Chris Cunningham, che ha lavorato con Aphex Twin e sul film 'Alien 3'; siamo dunque abituati a lavorare con registi di questo tipo e Saman Kesh ha dato una svolta moderna al videoclip, i suoi lavori sono affascinanti, spettrali e piuttosto conturbanti. Era convinto che Easton Ellis sarebbe stato perfetto come narratore e dal momento che Bret è un fan di Twitter e lo usa continuamente è successo che lo ha utilizzato a nostro vantaggio diffondendo il video sui social media".

In un disco ricco di pezzi melodici, ballate orchestrali e chitarre rock, "Exit wounds" spicca invece come uno dei pochi brani basati sui beat elettronici. "Mi viene da guardare il disco come un'opera divisa in due parti uguali", spiega Stefan. "La prima è stata scritta, suonata e registrata nel 2012, prima di andare in tour. Finiti i concerti siamo tornati in studio, e ogni volta che si ritrovano in sala di incisione a scrivere canzoni i Placebo tendono a usare tutti gli strumenti che hanno a disposizione. Programmare i beat, usare l'elettronica o anche i tablet è una cosa che ci interessa. Apprezziamo i suoni artificiali quanto quelli prodotti dalle nostre chitarre o dal pianoforte a coda, ci piace utilizzare strumenti e mood diversi. 'Exit wounds' ha un tema alquanto disperato, nella canzone il protagonista si spinge in situazioni estreme e il pezzo trasmette atmosfere tenebrose ed emozioni forti: trovo che il contrasto tra il lento sviluppo di quel distorto loop elettronico quasi alla Nine Inch Nails e l'esplosività del grande riff chitarristico nel ritornello sia molto efficace. La seconda parte del disco esplora maggiormente i beat elettronici mentre la prima suona più live: in particolare nella title track, in cui quel che si ascolta è essenzialmente il gruppo che suona assieme dal vivo. Credo che negli anni i Placebo abbiano imparato a seguire diversi sentieri e a utilizzare diversi generi musicali. E penso anche che in questo album il mix di sonorità e di sensibilità musicali funzioni in modo egregio". In pezzi come "A million little pieces" si immaginerebbe volentieri la voce del mentore e amico del gruppo Michael Stipe (nel 2006 co-protagonista di "Broken promise", inclusa nell'album "Meds"). Ma niente ospiti illustri, stavolta... "Il motivo, credo, è che questo disco suona più personale degli altri. Non volevamo altre voci, non volevamo che nessun altro entrasse nel nostro sound. E poi si tende sempre a fare qualcosa di diverso da quanto si è fatto prima, i duetti con cantanti famosi e belle voci li abbiamo già incisi in passato. Stavolta, ci siamo detti, bastiamo noi tre".

(Alfredo Marziano)



(Articolo tratto dal sito: rockol.it del 01 ott 2013)