Pubblicato: 19-10-2013

James Blunt: "Moon landing, il disco che avrei fatto non avessi avuto successo"


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Vendere milioni di copie, passare da cantare nei club a riempire i palazzetti. Il successo. La crisi. E ora il ritorno alle origini. Potrebbe essere la storia di molti cantanti. Ed è la storia di James Blunt.
Blunt esplode quasi per caso anni fa, nel 2005, con “Back to bedlam”, grazie alla orecchiabile e romantica “You’re beautiful”. Amato da molti e odiato da chi - nonostante il successo o forse proprio per quello - lo addita a simbolo della musica “leggera” e melensa. A tre anni giusti da “Some kind of trouble” arriva il nuovo disco “Moon landing”, il quarto. Il ritorno alle origini, appunto due dischi e un periodo influenzato dalla fama improvvisa.
“ ‘Moon landing” è l’atterraggio dopo un lungo viaggio”, racconta Blunt, oggi a Milano per presentare il disco - sguardo concentrato, giacchetta verde militare a ricordare il suo passato di soldato in Kosovo. “Sono nato come artista indipendente - ho iniziato con un produttore, Tom Rothrock che credette in me e in ‘Back to Bedlam’. Quell’album aveva una canzone che mi ha strappato dall’indie verso il mainstream. E mi ha catapultato in un mondo incredibile: ho messo su una band, sono andato in tour e al terzo album scrivevo canzoni per riempire i palazzetti, con testi che pensavo che la gente volesse sentire. Questa volta ho scritto canzoni per me e parole che avevo bisogno di scrivere”.
Via quindi gli orpelli, ciò che non è necessario. Si ammica al folk-rock nel singolo “Bonfire heart”, ma quello indie che va di moda oggi “Avevo bisogno di genuinità e onesta. Ho suonato praticamente tutto da solo, a parte la presenza di un paio di musicisti. Non è un disco pulito, impeccabile. Ma è un disco che mostra le rughe intorno agli occhi”, dice alludendo alla copertina, un primo piano del volto serio del cantante.




“Al secondo e terzo album ero una popstar, ora sono tornato ad essere un musicista, E’ il disco che avrei registrato se ‘Back To Bedlam’ non avesse avuto successo. Gli artisti sono esseri umani, come gli altri. Io sono stato fortunato: ho iniziato tardi, dopo essere stato nell’esercito - ho un famiglia, degli amici, ma anche io sento la pressione”. Pressione che ha portato a scrivere “Miss America”, canzone dedicata alla storia di Whitney Houston: “Una donna bella dalla voce incredibile. Ma io nella canzone dò voce dal lato oscuro, quello che avevano Amy Winehouse e Lady D. Il lato oscuro siamo noi, che andiamo in rete per leggere ogni dettalglio della vita privata, che compriamo la stampa scandalistica. Ogni click è un paparazzo in più e ogni scatto in più restringe l’acquario in cui si trovano”, dice. E a questo punto il dubbio che stia parlando di sé si fa forte.
Infatti è un attimo che torni a parlare delle sue esperienze, soprattutto quelle nell’esercito: “Ero un ricognitore: venivo mandato nel territorio nemico a esplorare i nemici. Io tornavo e spiegavo ai compagni. Nella musica faccio la stessa cosa. Vado, esploro, torno e racconto, con la massima sinceritò, con le mie forze e soprattutto con le mie debolezze”. La fama è un territorio nemico, allora? “No, ma pensare a quello che ho fatto nell’esercito mi dà forza, mi permette di relativizzare. Gestisico i tour come le missioni nell’esercito". Ma se queste canzoni sono così personali, come verranno portate su un palco, di fronte a migliaia di persone? “Diciamo la verità, s:ono stato sciocco a scrivere le canzoni così, se ora penso al tour. Ma quando metto fuori una canzone, non è più mia. Diventa di tutti, del pubblico, e questo mi permetterà di portarle su un palco, anche grande, anche se sono nate come canzoni intimiste tra me e me”. Appuntamento al 18 marzo 2014 al Forum di Assago per una serata intima con migliaia di persone.



(Articolo tratto dal sito: rockol.it del 17 ott 2013)