Pubblicato: 31-07-2013

Alison Moyet: 'Finalmente torno al mio genere preferito, il prog pop'


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Mica facile tornare nel giro, quando si tagliano i ponti con il music business. Infatti ci sono voluti tre anni, più o meno, per dare forma a "the Minutes", il nuovo album di Alison Moyet uscito la settimana scorsa nei negozi (intanto dal precedente "The turn" ne sono passati quasi sei). "Mi rendo conto che nello stato di implosione in cui versa l'industria discografica oggi susciti poco entusiasmo l'idea di fare incidere una della mia età", spiega con aria serena la cinquantunenne cantante inglese (ma di padre francese). "Per tre anni ho battagliato alla ricerca di un contratto discografico che mi permettesse di fare quel che desideravo, in un momento in cui tutti sembravano interessati solo a farmi registrare raccolte di cover. Intanto Guy (Sigsworth, produttore e coautore) aveva altri impegni e abbiamo dovuto lavorare approfittando dei suoi tempi morti. Ecco perché c'è voluto così tanto".

Il risultato sorprenderà chi ricorda la Moyet versione "crooner" dell'ultimo periodo e farà felici gli orfani degli Yazoo, capisaldi del synth pop dei primi anni Ottanta: perché nell'album i rimandi a quella lontana avventura sono espliciti, mescolati a sonorità elettroniche più moderne, sinistre e sperimentali. "Quando ci penso, mi viene da chiamarlo prog pop. Quando iniziai a collaborare con Vince Clarke gli Yazoo avevano un sound particolare: allora usavamo computer monofonici, le programmazioni come le intendiamo oggi non esistevano e tutto nasceva dal tessuto melodico delle canzoni. Il fatto che oggi la musica suoni diversa si deve proprio all'evoluzione tecnologica: c'è un modo più elegante di usare l'elettronica, adesso, e allo stesso tempo è possibile evitare la pomposità dei suoni che allora scaturivano da apparecchi come il Fairlight. Era da tanto tempo che volevo tornare a lavorare con il genere elettronico, ma una delle cose che non mi piacevano in quest'ultimo periodo era la sua evoluzione in questa sorta di dancehall che insiste sui cambiamenti di accordi, di tempo e di tonalità e in cui la voce viene infilata a forza in brani di stampo sostanzialmente strumentale. C'è voluto molto tempo prima che trovassi qualcuno con cui mi sentissi di collaborare, una persona che non fosse solo brillante nell'uso della tecnologia ma che avesse anche un'ampia comprensione degli aspetti armonici della musica e della canzone. E questa persona è Guy (Sigwerth, già collaboratore di Bjork, Robyn, Goldie, Madonna). Sapendo del mio interesse per questo genere di musica, è stata la mia agenzia di management a farmi il suo nome. Non sapevo nulla delle sue produzioni passate e all'inizio ero anche piuttosto scettica, dal momento che oggi scrivere canzoni è diventata una strana attività professionale in cui ci si mette a tavolino con un gruppo di sconosciuti che desiderano solo scrivere un singolo di successo. Nessuno ha più voglia di impegnarsi nella scrittura di un intero album, mentre per me le cose davvero interessanti arrivano quando con il tuo coautore si crea un vero rapporto interpersonale. Pensavo che anche con Guy sarebbe andata allo stesso modo, che fosse come gli altri. Ma nel momento in cui ci siamo trovati a scrivere insieme ci siamo resi conto che eravamo davvero in grado di comunicare, di parlare la stessa lingua musicale. Mi è apparsa subito evidente la sua motivazione a fare musica e a realizzare degli album, non gli interessa sfornare una canzone a testa per un milione di artisti diversi. E' diventato la mia anima gemella musicale".

Intanto era arrivata anche un'etichetta disposta a darle fiducia, la Cooking Vinyl: "Il problema delle case discografiche", sostiene la Moyet, "è che pensano a vendere un disco prima ancora che sia stato realizzato. Pensano subito al tipo di consumatore a cui sarà possibile rivolgersi, dimenticandosi di avere a che fare con degli artisti. Non voglio sembrare pretenziosa, ma è quel che mi sento di essere. Ho sempre considerato la musica una forma d'arte, per me cantare è come pitturare. Ma se sei una cantante con una voce che molti considerano classicamente bella, la gente immagina che tutti i tuoi sforzi debbano essere indirizzati a sfoggiare le tue qualità canore in maniera virtuosistica. A me invece piace lavorare in un altro modo, alternare l'uso della voce utilizzandola come strumento principale ma anche in funzione coloristica. L'elettronica ti permette di attingere a una tavolozza di colori più ampia rispetto a un contesto strumentale tradizionale. C'è più spazio sonoro, nei brani, e in questo modo è più facile far passare certi colori della tua vocalità. Non sei costretto a cantare sempre in modo acrobatico con il fine di impressionare chi ascolta, e quando il testo della canzone lo richiede puoi essere più trattenuto".

La varietà di sfumature di cui parla la Moyet si esprime, in "the Minutes", in pezzi decisamente dance come "Right as rain" e "Changeling" (per cui sono stati realizzati diversi remix, uno anche a cura di Severino, dj modenese residente all'Horse Meat Disco di Londra), ma anche in brani più cupi e d'atmosfera come "Rung by the tide" o dagli sviluppi inattesi quali "A place to stay". "La gente ricorda gli Yazoo come un gruppo dance in virtù di canzoni come 'Situation' o 'Don't go', ma in quel gruppo, proprio grazie all'uso dell'elettronica, i ballabili convivevano con una sorta di poesia dark che credo sia stato il mio maggiore contributo al progetto. Se li confronti con gli Erasure capisci le differenze tra il mio modo di fare musica e quello di Andy Bell, il successivo partner musicale di Vince. Ancora oggi, ogni volta che faccio un disco è come se masticando un dolce iniziassi a chiedermi che sapore ha quello che ho lasciato sul piatto. Non voglio limitarmi, non voglio fare album in cui tutte le canzoni si assomigliano. I remix? Alcuni mi piacciono, altri un po' meno: il mio preferito è quello di Guy perché il suo è sempre un approccio molto musicale. Detto questo, non sono il tipo che si mette ad ascoltare questo genere di cose, anche se mi piacciono le sperimentazioni e mi piace l'idea che si possa trarre ispirazione da quel che fanno gli altri. Una volta che ho completato un disco nel modo in cui desideravo farlo per me il lavoro è fatto e finito. Quello che succede intorno, a quel punto, diventa irrilevante".





La voce di Alison resta il punto forte di "the Minutes": calda, potente ed espressiva come sempre. "Eppure", assicura lei, "non mi tengo in esercizio, non l'ho mai fatto. L'unica cosa che faccio oggi, prima di un concerto, è radunare un po' di amici in una stanza per cantare insieme una canzone, qualsiasi canzone, giusto per riscaldare il muscolo e rimetterlo in movimento. Concludendo il tutto con un bicchierino di sambuca: ecco la mia preparazione. Quand'ero giovane non facevo neppure quello, andavo direttamente sul palco a cantare come se dovessi spaccare il mondo, il che mi ha procurato dei problemi alle corde vocali. Oggi so che devo sciogliermi un po', prima di esibirmi. Forse sottovalutavo il dono della mia voce perché provengo da una famiglia operaia in cui solo le cose conquistate a fatica avevano valore, e cantare era considerata una cosa di poco conto".

A proposito di Yazoo e di concerti: i vecchi fan saranno lieti di sapere che il vecchio repertorio del duo troverà spazio nel nuovo tour. "E' un altro dei vantaggi di tornare all'elettronica: gli album degli Yazoo e il mio primo disco solista 'Alf' erano dischi basati sulla programmazione elettronica, e anche se dal vivo ho cantato per anni 'Situation', 'Don't go' e 'Only you' l'ho fatto solo per rispetto ma senza poterle riproporre nel modo in cui erano state concepite. Lì, ovviamente, la componente elettronica era importante quanto la voce. I miei ultimi tour hanno avuto un'impostazione blues e piuttosto introspettiva, nei nuovi show invece ci saranno più luce e più energia. L'allestimento del palco sarà minimale: ci saremo solo io, un tastierista programmatore e un corista che è anche un polistrumentista, il tutto corredato da schermi e luci".

Nel 2008 avvenne una reunion con Clarke: potrà accadere anche in futuro? "Mi piacerebbe, ma bisogna ricordare che Vince è stato inizialmente sposato con i Depeche Mode e poi con gli Erasure", spiega Alison. "Con me ha avuto una relazione, come dire... temporanea, e non so con quanta leggerezza d'animo si disporrebbe a tradire di nuovo la moglie!". L'ipotesi, par di capire, è abbastanza remota. Intanto la cantante si gode i riscontri positivi con cui la stampa e il pubblico sembrano avere accolto il suo ritorno. "La gente mi chiede se sono sorpresa dalle ottime accoglienze che il disco sta ricevendo e io rispondo di no, perché questo è un progetto in cui credo. Sono sorpresa piuttosto dal fatto che il pubblico abbia il modo di sentirlo, il che è una cosa diversa. Mi sono messa a lavorare su questo album senza attendermi nessun tipo di appoggio, cosicché tutto quel che di bello sta succedendo lo accolgo con enorme piacere. Non ci sono risvolti negativi, in una situazione come questa: il bello di lavorare da persona adulta con una casa discografica adulta è che non sento il bisogno di essere adulata, di persone che mi diano continuamente una pacca sulla spalla o che mi parlino con accondiscendenza. Sappiamo entrambi in cosa consiste il nostro rapporto e ognuno di noi cerca di dare il meglio di sé. Se andrà bene, tanto di guadagnato. Altrimenti sapremo di avere fatto comunque tutto il possibile".

Parla da donna matura e posata, la Moyet. Ma anche lei è stata, in altri tempi, una giovane pop star. Che ne pensa delle cantanti che oggi competono per la testa delle classifiche? "In giro ci sono indiscutibilmente tante belle voci. La musica, però, sta diventando più lineare e i modelli molto più prestabiliti, la sensazione è di vedersi succedere tante artiste che si assomigliano. Per una femminista come me, che ha vissuto gli anni '70 ribellandosi al sistema, è un po' triste questa corsa all'ipersessualizzazione. Ancora più triste è constatare che molte di queste giovani donne sono convinte in questo modo di acquisire più forza e più potere senza accorgersi che stanno ancora giocando al vecchio gioco. Mi piacerebbe vedere donne più fiduciose nella loro personalità e nella loro musica, che non sentano il bisogno di trasformarsi in icone senza valore". Ma ci sono delle eccezioni. Una per tutte, Adele. "Oh, certo. Lei è un'eccezione. Una donna fantastica, di grande dignità e - ancora più importante - di grande talento. Ovviamente ci sono in giro molte artiste forti e interessanti, che magari è difficile conoscere perché nessuno ci investe del denaro. Sono solidale con le mie colleghe ma ho delle figlie e mi dispera vedere che anche nei programmi in cui si parla di emancipazione femminile le ragazze arrivino sul palco praticamente in mutande...Come se questo fosse un sintomo di modernità".

I suoi incontri artistici fondamentali, però, sono stati tutti maschili. Clarke. Wilko Johnson. O Nile Rodgers, Mark Ronson e Johnny Marr, l'anno scorso al Montreux Jazz Festival. "Con Nile avevo fatto un tour in Germania e siamo diventati amici. E' stato lui a chiedermi di partecipare al Festival e a farmi incontrare Johnny Marr che è stato una rivelazione. Un tipo estremamente brillante, un uomo intelligente, gentile, interessante e comprensivo. Per una asociale come me è fantastico incontrare gente come loro, come Neil Hannon dei Divine Comedy o Wilko Johnson. Nella mia prima band, da teenager, gli facevo spesso da spalla perché proveniamo dalla stessa zona. I Dr. Feelgood sono una delle prime band che ho visto suonare dal vivo, Wilko aveva un carisma e una presenza scenica formidabile e suonare con lui molti anni dopo è stato come rivivere la mia adolescenza". Meno bene, tanti anni fa, andò l'incontro con il suo idolo Elvis Costello. "Tutto a causa della mia timidezza e della mia goffaggine. Ho abbandonato la scuola a sedici anni, non ho studiato e vengo da un ambiente operaio. A un certo punto mi sono trovata improvvisamente catapultata in un mondo in cui tutti si muovono con sicurezza e sanno come ci si comporta in società...Quella volta mi avvicinai per dirgli che lo adoravo e che il suo show era stato fantastico. E dalla bocca non mi uscì altro che una frase mortificante come 'l'hai tirata un po' per le lunghe, eh?'. Ogni volta che mi espongo in pubblico mi rendo ridicola, e da quella volta ho deciso di evitare le occasioni mondane, i contatti, l'industria musicale. Mi sono così vergognata, davanti a Costello. Lui? Credo non ci abbia fatto neanche caso".


(Articolo tratto dal sito: rockol.it del 13 giu 2013)